sabato 14 maggio 2011

Silenzio elettorale

Che questa maledetta notte
dovrà pur finire
perché la riempiremo noi da qui
di musica e parole

Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
In questo disperato sogno
tra il silenzio e il tuono
difendi questa umanità


http://www.youtube.com/watch?v=26oZQBwdrG0

domenica 8 maggio 2011

Da via Padova a Palazzo Marino … e ritorno


Ieri è stata la giornata delle 100 piazze per Pisapia e si è chiusa con una folla, arancione e festante, in piazza della Scala – davanti a Palazzo Marino.
Una presenza simbolica, soprattutto per chi non vive in centro ma in quella che, poco più di un anno fa, è stata definita estrema periferia – via Padova.

Geograficamente e topograficamente la definizione lascia qualche perplessità – se via Padova è estrema periferia, Corso Buenos Aires non può che essere periferia.
Eppure la definizione è corretta – via Padova, per l’attuale amministrazione cittadina, è estrema periferia, lontana anni luce dai propri interessi e dalle proprie priorità.

Ma via Padova periferia non è – non lo è sulla cartina di Milano, perché è attaccata a Corso Buenos Aires (una delle più importanti vie dello shopping di tutta Europa, ci insegna il sindaco uscente); e non lo può essere per l’amministrazione di Milano.
Perché vi Padova, che piaccia o non piaccia, è un’arteria pulsante – di vita, di colori, di storie quotidiane fatte di drammi e di speranze.
Nel bene e nel male via Padova c’è ed è una realtà che non si può cancellare con un colpo di spugna o con un’ordinanza coprifuoco.

Anche per questo ieri è stato importante che, proprio partendo da Via Padova, il comitato per Pisapia di zona 2 sia confluito in piccoli gruppi verso Palazzo Marino e a piccoli gruppi sia rientrato verso via Padova.

Perché ieri sono state le periferie a convergere verso il centro, ma quello che voglio è che presto succeda anche il contrario.
Che sia Palazzo Marino a guardare verso le periferie
Che il sindaco e gli assessori in Via Padova ci vengano (e non di notte, travestiti e accompagnati dai figli, come ha raccontato la Moratti – adesso, poi, possiamo anche immaginare il travestimento – figlio Batman e mamma Catwoman)
Che i Consigli di Zona abbiano la possibilità e la capacità di decidere, diventando prima luoghi di ascolto e poi portavoce delle istanze, vere, del territorio e di chi ci abita.

E’ nel programma di Giuliano Pisapia.
Ed è uno dei motivi per cui mi sono candidata in Consiglio di Zona – perché voglio veramente che le zone, i quartieri e le associazioni abbiano la possibilità di decidere, con i propri rappresentanti, le proprie priorità e non siano costretti ad aspettare, come oggi, che da Palazzo Marino qualcuno lanci uno sguardo pietoso verso via Padova, perché tra poco si vota o perché è morto un ragazzo.

Da Palazzo Marino a Via Padova si può – io ci credo

venerdì 6 maggio 2011

La dieta del militante

Fare campagna elettorale è faticoso.
Me lo avevano detto, ma non ci credevo.
Ti stanca fisicamente, perchè cammini, pedali, porti volantini, cammini, pedali, porti volantini
E poi sti stanca mentalmente - parli con tutti, vivi mille contraddizioni, paure, entusiasmo, voglia di fare
Quella che ti tiene sveglio fino a tardi la sera per condividere pensieri, link e programmi su FB
Quella che ti sveglia presto la mattina perchè hai mille idee e vuoi andare a volantinare al mercato prima di andare in ufficio
Quella stessa voglia di fare che, facendoti fare, ti dà energia per fare di più.

A volte però, sembra non bastare, e allora serve qualcosa per ricaricare ben bene le batterie...

... come la mia colazione di stamattina: zabaione e caffè!

Chi semina vento, vivrà nel deserto

Ho visto i manifesti di Magdi Allam – quelli con i musulmani in preghiera davanti al Duomo di Milano e l’imperiosa scritta “Mai più”.
E li ho trovati osceni.
Osceni per la brutalità del messaggio.
Osceni pensando a chi sia il mittente.
E osceni, soprattutto, per lo spregio alla Costituzione.
L’ennesimo – fatto in nome di una campagna elettorale becera e senza proposte.

E’ fuor di dubbi che il tema delle moschee – con il vissuto negativo che le accompagna – sia un tema delicato.

Ma non è certo con gli slogan e con i divieti che lo si risolve.
La libertà di culto è tutelata dalla nostra Costituzione, e già per questo il Comune di Milano dovrebbe garantire alla comunità musulmana di Milano luoghi di culto adeguati.
Ma ci sono anche mille altri motivi per affrontare la questione.
La religione è un tema fondamentale per l’integrazione e l’accettazione di chi viene da fuori.
Negare il problema e dire no alle moschee non risolve la situazione, la peggiora.
Nella migliore delle ipotesi, come già avviene oggi, i musulmani si riuniranno per la preghiera in appartamenti o altri luoghi privati.
Con evidente fastidio di chi abita in quei palazzi ed è disturbato e intimorito da presenze che, per la stessa amministrazione, sono sgradite in quanto pericolose e aliene alla nostra civiltà.

Nella peggiore delle ipotesi, si cercherà invece di concentrare le moschee e i luoghi di culto diversi da quelli cattolici in zone già tormentate dal problema dell’immigrazione e della mancata integrazione (via Padova e via Imbonati, ma non solo).

Una strada diversa c’è – ed è quella di garantire ai musulmani di Milano luoghi di culto dignitosi e accessibili, che garantiscano – al tempo stesso – il rispetto dei diritti sanciti dalla Costituzione e sicurezza ai cittadini italiani.

E’ un percorso più lungo e, forse difficile, ma l’unico che potrà portare, nel giro di pochi anni, ad una vera integrazione e ad una migliore qualità della vita per tutti – italiani, che oggi hanno paura, e stranieri.

L’atteggiamento becero di Magdi Allam è purtroppo solo l’ultimo (per ora) esempio di una politica aggressiva e senza proposte, di una politica urlata e fatta di slogan senza fondamento.
Il cui unico risultato è quello di togliere spazio alla riflessione e al confronto, e di portarci sempre più verso il deserto culturale e sociale.

Eppure un'altra Milano è possibile: chi è stato alla festa di via Padova dell'anno scorso lo sa bene


giovedì 5 maggio 2011

La libertà non è stare sopra un albero

e neanche in 100 mq con aria condizionata e videocitofono.
Soprattutto se intorno c’è il nulla.

Stamattina ero “di turno” alla pagoda del Comitato Pisapia in piazza Costantino e verso mezzogiorno ho preso la bici per fare un giro di volantinaggio al nuovo quartiere Adriano.
Un po’ come volantinare nel deserto.
Palazzine nuove, anche belline, c’è la pista ciclabile in quasi tutto il quartiere, un paio di bar – tutto nuovo, tutto uguale.
Giro intorno e fatico a trovarci un senso.

Ma dove sono finite le “nostre radici culturali” tanto sbandierate dalla Lega?
Qualcuno a Palazzo Marino sembra essersi dimenticato che polenta, casseoula e dialetto vanno di pari passo con le case di ringhiera e con la piazza del paese, dove ci si incontra, ci si confronta, magari si litiga – ma si parla e si partecipa
Eppure a Palazzo Marino la lega ci sta più o meno da 20 anni.

Il nuovo Quartiere Adriano mi ricorda molto i quartieri residenziali americani, quelli che si vedono nei telefilm, con le villette tutte uguali, il giardino e la bandiera americana davanti a ogni casa.
Dove la sera si sta in casa scegliendo quale delle centinaia di canali via cavo guardare e quando si esce si prende la macchina, perché sotto casa non c’è niente.
Bisogna andare al centro commerciale per tutto – per fare benzina, per comprare il giornale, anche per andare dal dottore…

Lo so bene, non perché lo ho visto in tv, ma perché ci ho vissuto per un anno in un posto così.
E so bene che in un posto così è difficile incontrarsi, parlarsi, confrontarsi, interessarsi di quello che ci succede intorno.
Non è certo un caso che gli Stati Uniti siano uno dei paesi occidentali con la minor percentuale di votanti.

La zona 2 che voglio non è così – è un quartiere aperto, in cui si possa crescere, studiare e divertirsi, in cui ci si possa muovere in bicicletta e con i mezzi pubblici anche di notte, in cui ci si incontra e ci si confronta.

Perché la libertà è partecipazione



domenica 1 maggio 2011

La città delle donne - non siamo tutte uguali

Domenica mattina di relax, dopo un sabato di corsa tra la pagoda di Piazza Costantino al mattino e il gazebo ai giardini di via Restelli al pomeriggio, con passaggio finale al Parco Trotter.
Leggo il giornale (meglio, il quotidiano) e intanto penso che qualcosa su questo blog ce la devo pur scrivere - se no cosa l'ho aperto a fare?
E mi viene in mente che, in effetti, non ho ancora raccontato chi sono.
Quando, sfogliando le pagine milanesi mi imbatto in un articolino che racconta le giornate dei candidati sindaco e le loro riflessioni sul futuro e sul presente della città.
Ecco che una breve intervista a Letizia Moratti mi dà lo spunto per raccontare chi non sono - per la mia biografia ci saranno altre occasioni

Cito da Repubblica Milano
"Alla fine di una lunga giornata elettorale iniziata con la giunta e finita con il comizio con Umberto Bossi, Letizia Moratti si confida con Red Ronnie (rubrica cult sul suo sito). E racconta qual è il suo rammarico:
"Non aver visto il matrimonio di Kate e William. Sono romantica. Noi donne rivendichiamo la nostra indipendenza, ma alla fine per noi l'amore è quello che conta di più"

Penso che il sindaco di una città dove quasi un giovane su quattro non ha lavoro, a fine mandato dovrebbe rammaricarsi di ben altro.

P.S.
Anche le giovani donne milanesi vorrebbero rivendicare la propria indipendenza - con un posto di lavoro, con una scuola pubblica dove lasciare i figli anche il pomeriggio e con la sicurezza di potersi muovere tranquillamente per la città anche di notte con i mezzi pubblici.
E poi arrivare a casa e avere il solo pensiero del matrimonio di William e Kate...